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domenica 19 luglio 2009

Tecniche di allenamento MTB: e per chi ha poco tempo? (1^ Parte)

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La domanda del titolo del post rispecchia la mia situazione ma è probabilmente comune a molti bikers. Tra lavoro, famiglia e impegni vari bisogna trovare il tempo di allenarsi. C'eè chi salta la pausa pranzo, chi sacrifica la famiglia e chi non ha di questi problemi perchè è giovane e magari vive ancora con i genitori oppure è single e si organizza come meglio crede. Io ho sempre fatto attività fisica sin dai miei 18 anni circa ed anche ora che ne ho 46 sento la necessità di fare "fatica" (se non sudo non sono contento). Ma devo coniugare il tempo con l'allenamento. Recentemente sono rimasto colpito da un intervista fatta su una rivista alla Paola Pezzo circa le metodologie di allenamento. In sintesi diceva che a suo parere un MTB bikers deve fare più tratti tecnici (salita ma anche tanta discesa perchè si recupera tanto, non solo in salita) molto difficili per migliorare la tecnica piuttosto che macinare tantissimi km. Questa analisi coincide con un articolo letto recentemente su una rivista specializzata la quale diceva che i bikers non dovrebbero contare quanti km fanno all'anno bensì quanto dislivello fanno e hanno raggiunto. Io rare volte stò via l'intera giornata e cerco di organizzarmi in maniera tale di avere, settimanalmente, o una mattina intera o un pomeriggio intero (3/4 ore) di allenamento + 2 uscite infrasettimanali di 1h30'/2h circa. Mi sono messo a caccia di tecniche di allenamento in rete e ho trovato cose interessanti che "pubblico a puntate" ("La Bicicletta", febbraio 2003 articolo di Valerio Lo Monaco). Ecco la 1^ parte. Buona lettura.
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Premessa
È proprio vero che i cicloamatori che hanno poco tempo per allenarsi, soprattutto in questa stagione, non possono ottenere una forma almeno soddisfacente? No! Vediamo allora come utilizzare nel migliore dei modi l’ora di tempo, anche sui rulli, che quasi tutti riescono comunque a ritagliarsi tra gli impegni quotidiani. Basta mirare all’intensità.
È possibile allenarsi anche se si ha poco tempo a disposizione? Sì. E così entriamo subito nel vivo dell’argomento, in quanto c’è molto da dire e, a considerare la mole delle lettere che ci giungono in redazione, l’argomento è molto sentito dai cicloamatori, soprattutto in questo periodo. Per spiegare i motivi della nostra risposta positiva in modo perentorio, frutto di capacità dimostrate da molti amatori, dobbiamo però necessariamente fare qualche breve cenno alla teoria dell’allenamento, per capire, subito dopo, come intervenire praticamente per ottenere il massimo, con soddisfazione, dal poco tempo che, sfortunatamente, si ha a disposizione. Per amore della verità, però, non possiamo promettere, né far credere, che con un allenamento frutto di poche o pochissime ore di sella si possano raggiungere gli stessi risultati di chi spende - bene - tante ore in bicicletta. E proprio quel “bene” che abbiamo appena utilizzato, però, dovrebbe far scattare la “pulce nell’orecchio” a tutti quanti sono interessati all’argomento che vogliamo approfondire in questo articolo. Ribaltando quanto detto, possiamo però promettere (questa volta sì!) che, se ci si allena bene - davvero bene - anche per poco tempo, almeno in alcuni campi si possono ottenere risultati migliori di chi pedala per tante ore ma in modo sconclusionato e scorretto.


Cosa significa allenarsi?

In parole povere (e poche, come promesso), l’allenamento è il processo che, attraverso degli stimoli operati in modo corretto, permette al fisico di migliorare le proprie capacità per poter offrire in seguito una prestazione un gradino migliore di quella che si riusciva a fare prima di allenarsi. Funziona così. Il fisico di una persona sedentaria non è abituato a certi gesti e certi sforzi che una vita senza movimento non comporta. Poi, già dopo la prima volta che si è fatto uno sforzo (anche piccolo), il fisico reagisce in un modo curioso: è come se un campanello d’allarme suonasse all’interno dell’organismo e dica al cervello: "Ehi, qui mi hanno messo a fare una cosa per la quale non ero pronto, forse vale la pena cercare di adattarmi, così la prossima volta che mi fanno fare lo stesso sforzo sono più preparato e lo posso affrontare meglio!". Cioè, con meno fiatone e meno dolore alle gambe (nel caso del ciclismo). A questo punto, il cervello mette in moto una serie di reazioni chimiche e meccaniche - se gli si lascia il giusto tempo di attuazione -, in modo da innalzare un pochino, diciamo di un gradino, la capacità polmonare, quella cardiocircolatoria, la forza muscolare e la capacità di contrazione (oltre ad altri aspetti che non citiamo per non dilungarci troppo), in modo che la volta successiva che si impone al fisico lo stesso sforzo, l’organismo sia pronto per affrontarlo.
Un vero allenamento
Poi, però, se ci si sta impegnando in un vero allenamento, la volta successiva s’impone all’organismo uno sforzo leggermente più intenso e quindi il campanello ripete il suo allarme, il processo si attua di nuovo e l’organismo sale di un altro gradino sulla scala che conduce alla vetta, che è il raggiungimento delle sue massime possibilità, che sono, ovviamente, un regalo di madre natura. Quindi, se non ci sono intoppi e si fanno le cose per bene, a un certo punto si entra nella massima forma possibile. Allo stesso tempo, però, se dopo uno sforzo si lascia passare troppo tempo prima di affrontarne un altro superiore o uguale come durata e intensità, il fisico reagisce nella maniera esattamente opposta. È come se dicesse: "Visto che non mi fanno fare più sforzi, sai che ti dico? Che io me ne ritorno pacioso alle condizioni di calma assoluta che avevo prima". Come dire: si scendono i gradini di cui abbiamo parlato. Perdonate il linguaggio semplice, ma crediamo che sia quello più adatto per far capire bene il concetto. Dunque, andiamo avanti... Cosa succede, allora, alla maggior parte dei cicloamatori? Che molto spesso, quando si sono saliti i primi gradini della famosa scala (peraltro i più semplici e rapidi da salire), gli stimoli che fino a un certo punto andavano bene non sono più adatti per salire ulteriori gradini, oppure non si hanno più energie per andare avanti. Nel primo caso, come nel secondo, si tratta molto spesso di mancanza di conoscenza, nel senso che si ignora il modo adatto per mettere in atto degli stimoli diversi e diversificati che sono nuovamente efficaci oppure che non si è lasciato il tempo necessario all’organismo per mettere in atto quel processo di “salita” della scala che abbiamo descritto e che si chiama di supercompensazione. Cerchiamo, quindi, di chiarire come non incorrere nell’uno e nell’altro errore.
Il sistema da usare
Il sistema da usare è semplice: stimolarsi fino al punto adatto a far scattare nell’organismo la necessità di migliorarsi (e allora si parla di stimoli allenanti); quindi, riposare per permettere la supercompensazione, cioè, in parole povere, compensare lo sforzo fatto e prepararsi a sostenerne uno più intenso; poi, stimolarsi nuovamente, un pochino di più della volta precedente, oppure in modo diverso, così da intervenire, nella costruzione del fisico da atleta e della condizione migliore, da più parti.
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Fine 1^ parte

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