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martedì 6 novembre 2012

Leggende dimenticate del ciclismo: Alfonsina Strada

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Alfonsina Morini era nata a Riolo di Castelfranco Emilia il 16 marzo 1891 da una famiglia di contadini. Aveva cominciato a correre con la vecchia bicicletta del padre ed era stata la "vedette" delle competizioni sportive della zona. Per la gente di Castelfranco, era diventata "il diavolo in gonella". Amici, parenti e genitori non vedevano certo di buon occhio i propositi; non è difficile immaginare la fermezza con la quale essi si opposero alla passione della figliola. Alla fine si disse chiaro che doveva sposarsi e farla finita con certe manie sportive. Così nel 1915, ad appena 24 anni Alfonsina si sposò con il cesellatore Luigi Strada: un uomo intelligente, moderno, senza pregiudizi, che anzichè ostacolare la passione della sposina la approvò e la appoggiò in pieno. Si capì subito il giorno delle nozze quando ricevette in dono dal marito una bicicletta nuova fiammante, con i manubri ricurvi all'indietro proprio come occorreva per gareggiare. E se ne ebbe conferma l'anno successivo quando la coppia si trasferì a Milano e Alfonsina cominciò ad allenarsi regolarmente sotto la guida del marito. Nel 1924 Emilio Colombo direttore della "Gazzetta dello sport" ammise Alfonsina al Giro d'Italia. A quei tempi le strade non erano asfaltate, le biciclette pesavano almeno venti chili, il cambio di velocità non esisteva. Fu un successo che Alfonsina consolidò durante la gara: e non per i risultati ottenuti, ma per aver saputo dimostrare che anche le donne potevano compiere la immane fatica.
Partì con la sua bicicletta da uomo, con i suoi calzoni alla Zuava, con il viso buono e sorridente, donna, prima ancora che atleta, riuscì ad arrivare fino a Napoli. Aveva compiuto regolarmente quattro tappe: la Milano-Genova (arrivando con un'ora di distacco dal primo ma precedendo molti rivali), la Genova-Firenze (in cui si classificò al cinquantesimo posto su 65 concorenti), la Firenze-Roma, giungendo con soli tre quarti d'ora di ritardo sul primo e davanti ad un folto gruppo di concorrenti, e la Roma-Napoli dove ebbe modo di confermare la sua resistenza. Nella tappa L'Aquila-Perugia, si scatenò il finimondo: pioggia e vento flagellarono il percorso già irto di enormi difficoltà per la impraticabilità delle strade del Sud e non c'è da stupirsi se Alfonsina arrivò fuori tempo massimo. Pertanto fu messa fuori gara dopo una polemica violentissima dato che una parte dei giudici sembravano propensi alla clemenza per le particolari circostanze in cui aveva avuto luogo la tappa e per il valore già dimostrato in precedenza dalla ciclista in gonnella. Da evidenziare che Alfonsina fu vittima di alcune cadute e di molte forature. Alla fine la spuntarono gli oppositori. Ma Emilio Colombo, che aveva capito quale curiosità suscitasse nel pubblico la prima ciclista della storia, le consentì di seguire la corsa pagandole di tasca propria l'alloggio e il massaggiatore. A Fiume, Alfonsina giunse con venticinque minuti di ritardo, ma non un solo spettatore lasciò le tribune prima del suo arrivo: tutti volevano vedere questa donna eccezionale. Quel giorno era caduta e si era ferita. Arrivò piangendo e la folla la strappò dalla bicicletta acclamandola come i campioni più reputati. La donna continuò a seguire il giro fino a Milano, osservando gli stessi orari e gli stessi regolamenti dei corridori. Il giro ebbe dodici tappe per un totale di 3618 chilometri e si concluse con la vittoria di Giuseppe Enrici dopo un entusiasmante duello con Federico Gay. Partiti da Milano in 90, i corridori vi tornarono in 30 e dei 30 faceva parte anche Alfonsina. Negli anni successivi fu negato ad Alfonsina l'iscrizione al Giro, che però seguì ancora per lunghi tratti per suo conto conquistando l'amicizia, la stima e l'ammirazione di Cougnet, Giardini, Emilio Colombo, Cattaneo, Lattuarda, Girardengo, ed di molti giornalisti e corridori. Alfonsina pensò di sfruttare la propria abilità partecipando a diversi varietà in Italia ed all'estero, si esibì persino nei circhi, correndo sui rulli. Andò in Spagna, in Francia, nel Lussemburgo. Nel 1937, a Parigi, battè la campionessa francese Robin. Nel 1938, a Longchamp, conquistò il record femminile dell'ora (35,28).Rimasta vedova di Luigi Strada, Alfonsina si risposò a Milano il 9 dicembre 1950, con un ex ciclista che aveva colto numerosi allori su pista, il gigantesco Carlo Messori, con l'aiuto del quale continuò nella sua attività sportiva fino a che non decise di abbandonare lo sport ma non la bicicletta che continuò ad usare come mezzo di locomozione. E rimase sempre in quel nel mondo perchè con il secondo marito aprì a Milano un negozio di biciclette con annessa una piccola officina per le riparazioni. Messori riversò tutta la stima e l'affetto che nutriva per la moglie in una biografia, iniziata nel '52 in cui faceva più opera di apologeta che di storico. Forse non finì mai: quel che è certo è che nessuno editore si preoccupò di pubblicarlo. Messori morì nel 1957 e Alfonsina rimase sola a curare la casa milanese di via Varesina dove era andata ad abitare, e la bottega di riparazioni che aveva gestito con il secondo marito per più di vent'anni. Ogni giorno, per andare al lavoro Alfonsina usava la sua vecchia bicicletta da corsa indossando una abbondante gonna pantalone. Quando cominciò a sentirsi ancora più stanca comperò una Moto Guzzi 500 cmc. Pare che per aquistare la motocicletta di colore rosso, avesse venduto parte delle sue medaglie e dei suoi trofei.
Viveva sola in due stanze con poca luce, diceva di avere una figlia sposata a Bologna. Ma non era vero. Voleva far credere di non essere sola al mondo. (NdR a Idice di San Lazzaro di Savena vivono ancora oggi dei suoi parenti) Morì il 13 settembre del 1959 (domenica) all'età di 68 anni. Era partita da casa molto presto con la sua moto per assistere alla famosa "Tre Valli Varesine" ed era rientrata a sera. Alla portiera di casa aveva detto "Come mi sono divertita, signora. Proprio una bella giornata. Ora porto la moto in negozio e torno in bicicletta" uscì. La portiera sentì che cercava di avviare la moto ma non vi riusciva. Si affacciò sulla strada per vedere: Alfonsina spingeva con forza, con rabbia sulla leva di avviamento. D'un tratto la moto le sfuggì di mano, e lei le cadde sopra come volesse abbracciarla. La soccorsero, la caricarono su una macchina per portarla all'ospedale, ma quando arrivarono era già morta per una crisi cardiaca. Si pensava nel 1959, che con lei fosse cominciata e finita la storia delle donne cicliste. I tempi sono cambiati e il ciclismo femminile ha conquistato notevoli primati. Alfonsina Morini sarebbe certamente contenta di saperlo. Andava in bicicletta perchè le piaceva più di ogni altra cosa al mondo e se esistesse il premio "una vita per lo sport" toccherebbe proprio a lei che ha cominciato a correre a dieci anni e che, a sessantotto, ha reclinato il capo su un manubrio.
(Fonte: Elio Antonucci di Radiomarconi)


1 commento:

  1. Grazie per questo bellissimo post sulla mia prozia!
    e' una gioia sapere che qualcuno ancora la ricorda.

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